IL VALORE DELLA DISOBBEDIENZA A CENT’ANNI DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Questo è stato l’anno del centenario della fine della Prima Guerra mondiale. Si sono svolte sia in Europa che nel mondo celebrazioni e manifestazioni in memoria di questo sconvolgente evento. Tanti Capi di Stato, lo stesso Mattarella, hanno ricordato quanto disastroso fu quel conflitto che causò milioni di morti, mutilati e per tanti reduci anche malattie mentali dal quale non guarirono più. Gli stessi assetti politici, sociali ed economici furono scossi dalla guerra e l’invito del nostro Presidente della Repubblica è stato proprio quello di scegliere per il futuro una politica del dialogo e della diplomazia tra i popoli onde evitare il ripetersi di simili carneficine.
I valori della pace e della concordia tra i popoli sono largamente affermati dalla nostra Costituzione di matrice repubblicana, laica e antifascista. Sono perciò le linee guida che devono guidare il nostro Paese in un contesto nazionale e internazionale. Su questo non c’è dubbio.
Solo una questione per noi rimane ancora aperta: crediamo che ormai quando si parla di guerre, si debba cambiare un certo paradigma.
È stato esaltato in questi giorni e in tutte le celebrazioni degli scorsi anni il coraggio, l’ardire e la capacità di tanti combattenti. Ma è possibile ancora fermare il giudizio a questi criteri quando si parla di guerre, oggi che quasi universalmente dovrebbero essersi affermati valori quali il rispetto della vita umana, l’uguaglianza di ogni individuo e il suo diritto di vivere? Non si tolga niente ai soldati coraggiosi e il loro impegno. Ma che dire di tutti coloro che la guerra l’hanno odiata dal primo fino all’ultimo minuto? Andare in guerra non era facoltativo e decine di milioni di contadini e operai si sono ritrovati ad uccidere e farsi uccidere da altri contadini e operai come loro, che semplicemente vivevano in un altro Paese. A volte capitava che abitassero solo a qualche chilometro di distanza e parlassero pure la stessa lingua. E tutto questo senza neanche sapere perché. “Lazare Ponticelli, il soldato francese nato in Italia, girava le scuole e diceva ai ragazzi «non ho ancora capito per cosa combattevamo.»[1]”.
Non si possono certo nascondere gli alti numeri delle diserzioni in ogni esercito della Grande Guerra a testimonianza di quanto quei soldati fossero estranei al conflitto e poco si racconta delle fucilazioni sommarie che seguivano. Le stesse rivolte nelle trincee e gli ammutinamenti non furono fatti episodici, finiti anch’essi con la repressione indiscriminata. Chi ha avuto il coraggio di opporsi ad una situazione così disumana tramite la rivolta contro i propri ufficiali o con la fuga, ha affermato la propria volontà, la propria determinazione in modo altrettanto coraggioso e più consapevole di esistere, senza diventare mero oggetto in balia degli eventi.
Il concetto che vorremmo far passare è questo: la guerra è un abominio e dopo cent’anni andrebbe lodato più chi la detesta e non chi combatte coraggiosamente. Parole che diciamo con il pieno rispetto di tutti quei poveri uomini che si sono ritrovati nell’inferno sulla terra.
[1] La Repubblica “L’Europa batte un colpo.” 12/11/2018.