Amministrati da estranei

Amministrati da estranei

Dal 4 settembre 2006 sono in visione presso i locali del comune i documenti approvati nel consiglio dell’11 agosto relativi al “documento preliminare di indirizzo del P.U.C.G.”, in breve la nuova variante del PRG, che debbono ancora passare al vaglio della Regione.
Per 30 giorni a partire dalla data di pubblicazione dell’avviso (appunto il 4 settembre) possono essere presentate le osservazioni che andranno allegate al piano e successivamente valutate.
Si raccomanda la spedizione in forma Raccomandata con avviso di ricevimento (A.R.) per evitare che possano andare smarrite e avere invece la certezza che arrivino a destinazione.
Si rammenta inoltre che le osservazioni possono essere effettuate in forma scritta da chiunque (cittadini, società, associazioni) e non solo dalla controparte politica (l’opposizione).
L’edilizia è uno degli aspetti più fiorenti dell’attuale economia e quindi può muovere enormi interessi.
Nell’attesa che i documenti vengano vagliati dalle varie realtà del nostro territorio (dall’opposizione al singolo cittadino) dopo una breve lettura volevamo soffermarci su un aspetto curioso degli allegati.

Da anni nell’intera penisola si è preso coscienza dell’importanza delle tradizioni con il recupero innanzitutto dei dialetti, vera testimonianza della cultura locale. La maggior parte dei vocaboli dialettali prendono vita dalle azioni quotidiane e per questo motivo sono spesso legati all’agricoltura o al bestiame o alle divinità vecchie e nuove.
Nella relazione troviamo un breve cenno storico sulle origini del nostro paese ma poco prima possiamo riscontrare la testimonianza della poca attenzione nei riguardi della nostra storia.
Non ci siamo scandalizzati più di tanto visto che quasi nessun componente dell’amministrazione comunale è di S.Angelo Romano e di conseguenza non potevamo  pretendere una conoscenza approfondita del luogo nel quale si trovano ad operare ma colpisce molto un atteggiamento (battezzato da qualcuno della Redazione come sindrome da provincialismo) che porta i nostri amministratori a ribatezzare i luoghi “italianizzandoli” e rendendo ridicoli e senza significato i nomi originali.
Un esempio su tutti.
A pagina 17 della relazione troviamo queste parole: “La principale direttrice di sviluppo è quella verso ovest, nel settore tra il cimitero e la cava di calcare sotto il centro abitato, fino a quella di Lorvello.”
Se qualcuno non lo avesse capito quello indicato come “Lorvello” è quel bosco che noi (abitanti di S.Angelo Romano) chiamiano Arovellu e che è stato ribattezato solo perché non se ne capisce il significato.
Consigliamo quindi alla nostra colta e sensibile amministrazione di aggiungere alla storia del paese compresa nella relazione questa piccola parte dedicata ai culti romani (e di conseguenza nostri dopo la conquista delle tribù Sabine da parte dei Romani).
Stiamo parlando di un bosco sacro agli antichi utilizzato per la preghiera ed i sacrifici alla dea Dia (per i romani Cerere) il cui nome è miracolosamente arrivato intatto fino ai nostri giorni e rovinosamente ribattezzato da sconosciuti arrivati non si sa come sulle nostre terre.

La fonte è l’enciclopedia elettronica pubblica (e libera) chiamata Wikipedia mentre le conclusioni sono solamente nostre ma sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario.

Gli Arvali (in latino (Fratres) Arvales, i “(Fratelli) Arvàli”) erano un collegio sacerdotale arcaico romano.
L’etimologia del termine deriva da arvum o aruum, “terra lavorata” (la radice ar è la medesima dei termini “arare” ed “aratro”) .
I sacerdoti si dedicavano al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi identificata con Cerere, che proteggeva la terra e le messi.
Secondo la leggenda, il collegio degli Arvali era stato istituito dallo stesso Romolo, fondatore di Roma, e ne facevano parte i dodici figli del pastore Faustolo, colui che aveva raccolto e allevato i due gemelli nel mito di fondazione della città. Per questo motivo i sacerdoti avevano l’epiteto di fratres, o “fratelli”. La grande antichità del collegio è testimoniata dal carattere fortemente arcaico della lingua di un carme che essi cantavano durante la cerimonia (Carme Fratum Arvalium) scritto in versi saturnii, che costituisce uno dei testi più antichi della lingua latina. Il carattere arcaico di questo testo si mantenne anche in epoche più tarde, in quanto i Romani ritenevano che ogni cambiamento nei particolari di un rito religioso ne avrebbe diminuito l’efficacia: ce ne sono giunti diversi frammenti, conservati sia attraverso iscrizioni, sia attraverso citazioni successive.
Ci sono inoltre pervenuti, vari frammenti degli “Acta Arvalium”, nei quali venivano annotati e registrati i principali eventi che riguardavano la città.
I membri del collegio sacerdotale rimanevano in carica a vita ed erano in numero fisso di dodici. Alla morte di uno di essi gli altri sacerdoti nominavano chi lo avrebbe sostituito.
Durante il mese di maggio, poco prima dello spuntare delle messi, compivano un’antichissima cerimonia di purificazione dei campi che durava tre giorni, la lustratio.
Si autodefinivano ” figli della madre terra “, e nel loro ufficio, oltre che alla dea Cerere, essi compivano sacrifici anche per il dio Bacco, per ingraziarselo nella speranza di una buona produzioni delle viti. I sacrifici si compivano principalmente con l’offerta dei prodotti della terra che venivano o. bruciati o, sparsi al vento nei campi o, imbevendo la terra dei loro succhi.
Nel 493 a.C., i Romani costruirono un grande tempio dedicato alla dea Cerere, all’interno del quale, i sacerdoti Arvali celebravano i loro riti e le loro funzioni, coltivando il culto della dea.

Fonte: Fratres Arvales – wikipedia