Consiglio di Stato – I principi sanciti nella sentenza del 10 febbraio 2015
L’autore dell’abuso edilizio deve pagare le spese di demolizione e degli interventi andati a vuoto
L’art. 29 (Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività), comma 1, ultima parte, d.P.R. 6 aprile 2001, n. 380 prevede che l’autore dell’abuso edilizio sia tenuto alle spese per l‘esecuzione in danno in caso di demolizione delle opere realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso.
Si controverte se si possa configurare la sussistenza di questo obbligo di legge non già per lo stretto intervento di effettiva demolizione, ma anche per precedenti interventi (nella specie: di appaltatori dell’amministrazione comunale) andati a vuoto per ragioni comunque imputabili all’interessato, come quando si è dichiarato disponibile a effettuare direttamente l’intervento ripristinatorio e così ha dato causa alla interruzione della demolizione medesima.
La Sezione Sesta del Consiglio di Stato nella sentenza del 10.2.2015 ha ritenuto che tale obbligo delle spese per l’esecuzione in danno ricomprende anche le spese per siffatti precedenti interventi non portati a buon fine, pur se diretti alla demolizione.
Precisa il Consiglio di Stato che “Vi è infatti uno spontaneo accollo di una demolizione in danno, e il fatto che questa non venga poi realizzata non può che ridondare in oggettivo danno dell’inadempiente accollante. Si è del resto in presenza, da parte dell’interessato, di un implicito riconoscimento della imputabilità del loro insuccesso, oltre che della conferma dell’assunzione dell’obbligo”.
Nella vicenda in esame, peraltro, l’interessata aveva essa stessa chiesto di rinviare la demolizione, impegnandosi ad eseguire spontaneamente la stessa in un prossimo futuro: e tanto vale a configurare questa situazione.
Rigettata anche la censura la censura di appello che contesta la corretta quantificazione, sostenendo che, nel rapporto tra la effettiva demolizione (circa euro 28.000) e i tentativi andati a vuoto (circa 10.000 euro) vi sarebbe una sproporzione non giustificata.
Il Collegio sul punto ha osservato che talune delle voci della nota relativa all’intervento di demolizione (smaltimento dei rifiuti e altro) non possono essere contenute nelle note relative agli interventi inutili. Tuttavia, è evidente che le spese sostenute dall’appaltatore, e dovute a sua volta dal Comune, comprendessero i costi vivi sostenuti in quelle giornate, certo inferiori al reale intervento di demolizione, ma non per questo indifferenti.
L’ingiunzione di pagamento della somma per i lavori di demolizione in danno è un atto meramente esecutivo e vincolato rispetto alle precedenti determinazioni e non richiede un’autonoma comunicazione di inizio del procedimento di cui all’art. 7, l.7 agosto 1990, n. 241.
Conclude, quindi, il Consiglio di Stato rilevando che l’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che l’opera acquisita sia demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso.
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Enrico Michetti
La Direzione
(10 febbraio 2015)
Fonte: Il Quotidiano della PA